Quando i videogiochi puntano non solo a coinvolgere il giocatore nel loro viaggio, ma a farlo immergere in un mondo che ha le sue regole, i suoi dettagli e i suoi significati, accade che lasciano qualcosa nello stomaco, al quale si continua a pensare e ripensare. Succede indubbiamente a coloro nei quali è scattata la scintilla durante Death Stranding, il più recente videogioco di Hideo Kojima – e il primo della nuova Kojima Productions.
Dopo aver vissuto in prima persona due run (una delle quali disponibile integralmente su YouTube) e aver ripercorso la storia circa cinque volte, con l’aiuto dei video, ci sono alcune riflessioni che mi sono saltate alla mente e che voglio condividere con voi.
Attenzione: l’articolo che segue contiene spoiler da Death Stranding. Non proseguite se non avete terminato il gioco.
1. La Spiaggia come espressione del confine
È molto interessante come il gioco ci proponga il rapporto tra Vita e Morte. In breve, quando le persone sono vive si trovano nella terraferma. Quando muoiono, precipitano nell’abisso. Per questo motivo, Sam è un riemerso: perché è in grado di riemergere dalle profondità dell’abisso, tornando nella terraferma e di conseguenza tornando in vita.
Proprio per questo, la Spiaggia è il luogo di incontro tra vita e morte. Quando Heartman ci racconta di quanto accaduto alla sua famiglia, vediamo lo scienziato cercare di raggiungere la moglie e la figlia che camminano verso riva, verso l’abisso. Chi torna in vita, viene riportato indietro. Chi è destinato a morire, procede verso l’acqua.
Nessun luogo, in questo concetto, poteva richiamare la terra di mezzo meglio della spiaggia: la risacca, il bagnasciuga, sono quel preciso punto in cui la vita e la morte si incontrano. Ed ecco perché le creature spiaggiate sono bloccate in un limbo – il che ci porta al punto successivo.
2. I Like delle Creature Arenate
Le creature arenate (CA) sono gli esseri che, per qualche motivo, sono bloccati sulla Spiaggia, sono intrappolati tra vita e morte e, infatti, hanno la possibilità di raggiungere il mondo dei vivi, trascinando questi ultimi verso l’abisso. Come dicevo nel primo punto, non è un caso che queste creature vengano definite “arenate”, dal momento che essendo sospese tra mondo dei vivi e mondo dei morti sono, di fatto, intrappolate nella spiaggia.
Nessuno, però, vuole rimanere intrappolato – CA comprese. Ecco perché, quando nel capitolo 5 Mama vi equipaggia delle nuove manette recidi-cordoni, al loro utilizzo, le CA lasceranno un Like a Sam. Ogni CA a cui reciderete il cordone, tagliando il legame con la Spiaggia e i vivi e, di fatto, “liberandola”, vi darà un segno di apprezzamento.
Qualcuno dirà che i buoni e i cattivi dipendono dal punto di vista – come Metal Gear Solid 3 insegna. Sicuramente, le CA non sono il tipo di “nemico” che vi aspettereste: l’unica cosa che può renderle ancora felici è essere liberate.
3. Le armi uccidono chi le usa
Ho dedicato anche un articolo a parte a questo aspetto: in Death Stranding, le armi che utilizzerete più spesso sono quelle che sparano il sangue di Sam contro le CA. Il che significa che sono quelle che uccidono chi le brandisce.
Mano a mano che sparate proiettili, razzi o granate pieni del vostro sangue, si esaurirà la vostra barra ematica, che rappresenta la vita. Se, da un lato, utilizzerete il sangue come repellente per le CA, insomma, dall’altro maggiore sarà l’uso delle armi, più deboli diventerete voi. Non potrete fisicamente morire (Sam smetterà di sparare se i livelli sono troppo bassi), ma di fatto vi ritroverete consumati, senza forze e praticamente morti, solo perché avete esagerato nell’utilizzo delle armi. Non succede la stessa cosa anche nella realtà?
4. La chiralità di Malingen e Lockne
Il tema cardine del gioco è la chiralità. Parliamo di quel concetto per cui, sovrapponendo le nostre mani con un palmo sul dorso dell’altra, sono perfettamente speculari, ma sovrapponendole con i palmi uno contro l’altro diventano perfettamente combacianti. Il mondo di Death Stranding vive di chiralità: la Spiaggia è il suo corrispondente chirale, da cui arrivano il Chiralium, i cristalli chirali, le creature arenate. È come se ogni singola cosa sulla Terra avesse la sua ombra corrispondente nella Spiaggia. Ed è un tema incarnato, letteralmente, da Lockne e Malingen.
Le due sorelle gemelle sono nate come sorelle siamesi. Sono due parti opposte della medesima cosa. Separate, sono praticamente due opposti: Mama è amorevole, disponibile, Lockne è aggressiva, dominante – almeno per come si presenta a Sam. Sono identiche, perfettamente sovrapponibili, eppure impossibili da scambiare l’una per l’altra.
E, alla fine, tornano a essere la stessa cosa, come erano state in origine: due metà del medesimo oggetto. Proprio come dovrebbero essere la vita e la morte, se il mondo di Death Stranding non fosse saltato in aria. Si può dire che, nella rappresentazione di queste due sorelle, del loro rapporto – chirale perfino nel diventare madri, con Lockne incapace di avere figli a causa di problemi all’utero e Malingen incapace di averli per le ovaie – sia espressa pienamente l’anima dell’intero gioco, del suo universo suddiviso in metà che si riflettono a vicenda e che, per quanto diverse, sono parti di un unico tutto.
5. Just another cliff
Per quanto alcuni nomi del gioco siano quantomeno curiosi, uno su cui vale la pena soffermarsi è quello di Clifford Unger. Nella scena finale del gioco, rivolgendosi a Sam, in inglese Cliff afferma che, senza suo figlio, lui sarebbe stato «just another cliff». Sebbene in italiano si sia perso questo significato, con la traduzione “solo uno qualsiasi”, la c minuscola è voluta. Cliff non si sta riferendo al suo nome, ma alla parola “cliff”, che significa burrone.
In quella scena, Cliff sta dicendo a suo figlio, un Bridges, che «senza di te, senza un ponte, io sarei stato solo un altro burrone.» E il discorso prosegue: «una strada chiusa, senza via d’uscita. Ero bravo solo a dividere le persone.» Ed è tutto perfettamente calzante, dietro il significato del suo nome.
Ho trovato questa scelta particolarmente suggestiva: fin dall’inizio del gioco sapevamo di chiamarci Ponti e di avere a che fare con un uomo chiamato burrone, precipizio, scarpata – qualsiasi traduzione preferiate. Sapevamo da sempre che, solo insieme questi due avrebbero potuto fare qualcosa di buono. Ed è così che Samuel diventa il ponte verso il futuro di chi, altrimenti, sarebbe stato solo una strada senza uscita.
6. La struttura ad anello del gioco
Come aveva già provato a fare Metal Gear Solid V: The Phantom Pain (in modo pessimo, ma sapete già come la penso), anche Death Stranding ha una struttura ad anello. L’ultima missione è anche la prima missione che abbiamo fatto per la Bridges. Non starò qui ad elencare quanto sia diverso ripetere la medesima identica missione, con lo stesso contesto, rispetto al fare la stessa consegna in un’atmosfera completamente diversa, ecco.
Quello che voglio evidenziare è la struttura circolare. In un mondo in qualche modo ricorsivo, in cui le persone nascono, crescono, si riproducono, muoiono – e i loro figli nascono, crescono, si riproducono e muoiono – Death Stranding fa esattamente la stessa cosa.
Il primo passo del viaggio di Sam è cremare il passato. Portare all’inceneritore quella che è stata, di fatto, l’unica madre che lui abbia mai avuto, Bridget Strand. L’ultimo passo del viaggio di Sam è cremare il futuro. È la morte della speranza. La mia generazione sta seppellendo la prossima. Sto facendo esattamente la stessa cosa, ma non è più naturale, non ha più senso: io non posso restare qui al posto di chi non ha nemmeno vissuto. La natura si è inceppata, il mondo non funziona più.
Ed ecco che, nel messaggio di speranza dato dalla fine del gioco, le cose si riallineano: Amelie manda indietro Lou, che stringe il Quipu al suo risveglio. La nuova generazione è nelle mani di quella attuale, ma è viva. L’attuale generazione dovrà crescerla, prendersene cura. La prossima generazione è libera dal pod in cui era stata rinchiusa dalla precedente.
E all’improvviso la pioggia non è più cronopioggia. L’arcobaleno non è più capovolto. La morte ha ritrovato il suo posto nel blu dell’arcobaleno. Il mondo ha ripreso a girare nel mondo giusto, quando la prossima generazione è destinata al futuro, e non alla morte a causa di quella che c’è già.
7. Una guerra disperatamente realistica
Ho detto durante i miei gameplay di essere rimasta sorpresa dalla rappresentazione della guerra in Death Stranding. Di punto in bianco, per tre volte, il giocatore si trova letteralmente strappato dal suo mondo e dalle sue attività, proiettato in cambi di battagli in cui è alieno, che non gli appartengono, dove i proiettili volano ovunque e si capisce subito che, se fosse una guerra vera, sarebbe impossibile salvarsi.
Ed è esattamente quello che è accaduto alle persone che a quelle guerre ci hanno partecipato. Pensate ai famosi ragazzi del ’99, reclutati per partecipare alla Grande Guerra, strappati da casa per andare al fronte e affrontare la trincea senza sapere come sopravvivere, cosa fare, perché. Letteralmente sradicati dal loro mondo per finire in trincea.
Proprio come Sam veniva risucchiato da un supercella e finiva al fronte – in un mondo altro, che staccava da tutto e tutti con solo un obiettivo in mente: voglio sopravvivere e andarmene da qui. Ecco perché quella di Death Stranding è una delle rappresentazioni più sincere e brutali della guerra che mi vengano in mente. Anche perché la guerra è descritta come qualcosa di ciclico, che si ripete all’infinito, sempre uguale, senza portare da nessuna parte, combattuta da persone già morte. Più chiaro di così.
8. Sono pronta, Sam Strand
Come abbiamo visto nell’analisi di Metal Gear Solid secondo Il Viaggio dell’Eroe di Chris Vogler, tutte le storie si concludono con un climax, che è il momento in cui il conflitto si esaurisce. In MGS, ad esempio, il climax è lo scontro finale con Liquid Snake – e spesso anche i film seguono lo stesso percorso: quando il pericolo è finito e l’eroe ha raggiunto il suo scopo, sopravvivendo o morendo, non importa, estinguendo il conflitto, il climax si è appena consumato.
In Death Stranding, il conflitto è apparentemente quello con Higgs. Ma il conflitto con Higgs finisce con una boss fight nel capitolo 9. Ce ne sono altri 5 di sola storia, prima dell’endgame. Il conflitto non è risolto.
Emerge, allora, che il vero conflitto è con il Last Stranding. Ci estingueremo tutti, dobbiamo fare qualcosa. Il Last Stranding è legato ad Amelie e, per fermarla e risolvere questo conflitto, tutti abbiamo provato a spararle. Inutilmente. Sparare non risolve i problemi. Abbracciare, lo fa. Avvicinandosi ad Amelie e abbracciandola, anche l’Entità Estintiva prende la sua decisione, toccata da quello che “suo figlio” ha fatto per lei, solo per cercare di aiutarla. Amelie è la Spiaggia e, fin dall’inizio del gioco, le nostre difficoltà venivano da lì: dalla Spiaggia. Il conflitto è risolto, l’estinzione ci sarà – perché ci sarà – ma non oggi. Come Sam sperava: non oggi. Il climax si è appena consumato, ed è stato un abbraccio.
Se siete tra coloro che individuano come conflitto principe del gioco non quello con l’estinzione, ma quello con Clifford che reclama il suo BB, vale la pena ricordare che finisce allo stesso modo: dopo l’incontro in Vietnam, c’è l’abbraccio tra Sam e Clifford. Nessuna supercella ci verrà più a cercare, ora che Cliff ha trovato il suo ponte per il futuro e sa di essere riuscito a evitargli una non-vita da BB.
9. Siamo la merce da consegnare
Quando, poco prima della fine del gioco, ci viene chiesto di tornare a ritroso dalla fascia di catrame di Edge Knot City fino a Capital Knot City, il primo impatto è quasi traumatico: devo tornare fino a lì?
Il backtracking è reso più dolce dalle strutture che abbiamo costruito in precedenza – dall’aiuto degli altri giocatori, che avranno disseminato la mappa di veicoli e cose utili per il nostro viaggio. Ma è reso più dolce soprattutto dai rapporti che abbiamo stretto.
Quando siamo partiti da Capital Knot City, non eravamo nessuno. Via via, abbiamo creato nuovi nodi, abbiamo allungato la lista dei nostri rapporti con le persone, abbiamo creato dei ponti. Dietro ogni angolo, si incappa in un punto in cui riposarsi. In un armadietto in cui cercare risorse. Nell’aiuto di qualcuno che non sapeva nemmeno che avrebbe finito con il darci una mano, lasciando quell’autocarro proprio lì.
Ogni piccola cosa costruita in precedenza, come le relazioni tenute vive, dà una piccola mano a Sam nel suo viaggio a ritroso, in cui la particolarità è soprattutto un’altra, e il gioco lo dice: la merce da consegnare siamo noi.
Così, dopo aver giocato per ore facendo attenzione alle condizioni del carico, perché il carico è prezioso, il gioco ci dice che “ogni carico è una promessa fatta a qualcuno che deve essere mantenuta”, il carico da consegnare diventiamo noi. Siamo il carico da consegnare agli altri membri di Bridges con cui abbiamo stresso un rapporto. Deadman, Heartman, Fragile, Lockne, perfino Die-Hardman: tutti hanno bisogno di noi, dall’altra parte del continente.
Il nostro rapporto è prezioso, ed ecco perché noi siamo il carico. È di noi che hanno bisogno, non di qualcosa di materiale: è di noi. Perché abbiamo un rapporto, un legame. E Sam diventa ciò che c’è da custodire e ciò che queste persone vogliono da noi: semplicemente noi stessi. «Il carico questa volta sei tu.» E «ogni carico è una promessa a qualcuno.»
10. I nostri gesti ci sopravvivono
Quello che facciamo nella vita ci sopravvive. Fa un po’ parte del concetto della struttura ad anello del gioco, ma volevo sottolinearlo: nel prologo del gioco, il povero Igor ci chiede aiuto per portare un cadavere all’inceneritore. Tutto va malissimo, Igor muore e si scatena una voragine che spazza via Central Knot City.
La missione successiva, ci fa fare lo stesso percorso: porta Bridget all’inceneritore. È passato poco tempo, solo pochi giorni, dalla morte di Igor, ed ecco lì i segni della sua esistenza: aveva sistemato scale, chiodi, attrezzi che potessero rendere più facile il percorso a chi cercava di raggiungere l’inceneritore – a noi, in questo caso, senza nemmeno saperlo. La cosa è stata notata abbastanza da aver meritato un topic su Reddit.
Poi, alla fine del gioco, molto tempo dopo la morte di Igor, siamo di nuovo lì. E tutti i suoi oggetti ci sono ancora. Nel nostro ultimo viaggio non abbiamo niente: non abbiamo equipaggiamenti, lo zaino è vuoto. Abbiamo solo Lou e il silenzio delle lande verdi che ci circondano.
E poi ci sono quelli: i chiodi piazzati da Igor. Le scale di Igor. Ancora lì, nonostante lui sia morto da tanto tempo. Perché quello che facciamo ci sopravvive, e in qualche modo fa sì che gli altri si ricordino di noi. Come il giocatore, dopo la morte nel prologo, si ricorda di Igor nell’epilogo.