Questo articolo contiene grossi spoiler da Death Stranding. Non leggetelo se non avete terminato il gioco!

Quando, nella mia recensione per SpazioGames.it, ho sottolineato che l’immaginario di Death Stranding mostrava evidenti rimandi alla cinematografica di Andreij Tarkovskij (o in qualsiasi modo vogliate traslitterare in caratteri occidentali Андрей Тарковский), ho pensato forse di vedere un po’ di Tarkovskij di troppo in virtù della lieve insistenza della mia impareggiabile docente di Storia del Cinema — che aveva un vero e proprio culto per il regista sovietico.

Nei giorni scorsi, però, quando Hideo Kojima ha condiviso delle immagini su Twitter, che lo mostravano intrattenersi con alcuni fotogrammi da Stalker (1979), ho capito che no, la professoressa di Storia del Cinema e il suo culto per tarvkoskijsmo non c’entravano niente. Death Stranding ha davvero guardato al film fantascientifico dell’eccentrico regista sovietico. E ci sono diversi tratti comuni tra le due opere.

Cos’è Stalker

Ispirato da un’opera letteraria con cui condivide solo alcune piccole caratteristiche chiave, ma non la fabula né l’intreccio, Stalker segue le vicende di una guida, chiamata appunto stalker, che conduce le persone comuni nella Zona. Questa misteriosa area, recintata dall’Esercito e in cui non si potrebbe accedere, se non intrufolandocisi, è uno scenario naturale verdeggiante ricco di pericoli e di misteri, in cui le normali leggi fisiche del mondo sono saltate in aria dopo un’esplosione, pare dopo la caduta in un meteorite.

Lo Stalker conosce questi rischi e accompagna le persone, nel caso del film uno Scrittore e un Professore, all’interno della Zona per raggiungere la misteriosa stanza al suo interno: si dice che quest’ultima realizzi il desiderio più profondo nell’animo di chi la visiti, quindi sono molte le persone che sperano di utilizzarla per realizzare i propri sogni.

La Zona è però spietata, afferma lo Stalker, motivo per cui le persone hanno bisogno della sua guida. Uno scenario naturale così desolato e silenzioso, insomma, sembrerebbe pronto a seminare morte.

Il viaggio dei tre, senza fare spoiler su come vanno a finire le cose, in caso voleste vedere il film, prosegue più che altro tra riflessioni sull’esistenza e il loro confronto in quanto esseri umani. La Zona diviene così la metafora del viaggio verso ciò che si desidera, piena di pericoli e in cui non tutti, davvero non tutti, riusciranno.

Le somiglianze tra Stalker e Death Stranding

L’ambientazione

La prima somiglianza, la più evidente di tutte, è l’ambientazione. Al primo colpo d’occhio, Death Stranding e la sua nuova America ricordano indubbiamente l’Islanda – fonte di ispirazione riconosciuta da Kojima stesso.

Al secondo colpo d’occhio, il pensiero è andato a Stalker. Le piane verdeggianti del gioco, meravigliose ma ostili e piene di pericoli soprannaturali richiamano nitidamente quelle del film, anche e soprattutto nella direzione del sonoro, con i tantissimi corsi d’acqua che è possibile sentire scorrere mentre si esplora. Una caratteristica, in questo caso, identica alla cinematografia di Tarkovskij, dove gli scenari naturali e lo scorrere dell’acqua sono praticamente un tormentone.

L’origine del mistero

In Stalker i pericoli e i misteriosi poteri della Zona, dove le normali leggi del mondo non valgono (e non parlo di leggi degli uomini, ma di leggi della natura) sono nati in seguito a quello che viene identificato come l’impatto della Terra contro un meteorite. C’è, insomma, un’esplosione che genera la Zona e i suoi misteriosi poteri.

In Death Stranding, il mondo è scosso da un’esplosione, paragonata a un nuovo Big Bang e identificata proprio come il Death Stranding, che ha compromesso il muro di carta velina tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi. Le leggi del mondo saltano in aria, con i vivi che scorrazzano tra i morti, e perfino la gravità, per via della diffusione della materia chirale, non è più quella che la Terra conosceva.

Il porter e lo stalker

In Stalker, lo stalker è l’unico capace di vedere i pericoli della Zona. Li percepisce, mette in guardia le persone che sta guidando, perché lui ha una sorta di collegamento con la Zona che gli permette di farlo.

In Death Stranding, Sam Porter Bridges è un individuo dotato di DOOMS. Si tratta di particolari abilità, molto richieste, che gli consentono di avvertire e, nel suo caso, di percepire, le Creature Arenate, ossia le inquietanti anime fluttuanti dei morti che cercano di venire a tirare nell’Abisso i vivi. Ci sono diversi individui dotati di DOOMS, in Death Stranding, anche molto più potenti di Sam (come Higgs, o Fragile, o Heartman, o Mama), ma nel caso del protagonista la sua abilità lo rende il corriere perfetto: percependo le CA, il corriere può effettuare le consegne in aree dove le persone normali non oserebbero mai avventurarsi. Proprio come nessuno visita la Zona senza affidarsi a uno stalker.

La morte è sott’acqua

C’è una leggendaria scena in Stalker, nel cuore degli amanti della cinematografia, che mostra una carrellata in un piano sequenza dall’alto su un fondale di un fiume. Mentre viene recitato un brano dall’Apocalisse, che richiama la fine del mondo, l’inquadratura mostra susseguirsi, via via, gli effimeri oggetti del regno degli uomini, ingoiati e rovinati dall’acqua, dalla morte, dal tempo.

Sommersi, questi oggetti sono destinati in qualche modo a essere dimenticati dal tempo – perché l’umanità, checché ne creda, non durerà per sempre. Strumenti, fotografie, perfino opere d’arte: tutto, nel fondo del fiume, sta venendo consumato dal tempo. Gli umani sono qui di passaggio e la Terra si riprende tutto.

Il che è esattamente uno dei temi chiave di Death Stranding e del suo modo di rapportarsi all’estinzione dell’uomo, al fatto che si sono estinte altre creature, prima di noi – e l’uomo non ha davvero niente di speciale per credere che, nel suo caso, sarà diverso. A colpire è anche il fatto che anche Kojima scelga il subacqueo per rappresentare la spietata decadenza: in Death Stranding, ciò che muore viene ingoiato dall’Abisso. Fluttua nell’acqua e nelle profondità antistanti la sua Spiaggia – il luogo intermedio tra vita (terraferma) e morte (il mare). Quando nuotiamo nell’Abisso, sott’acqua, troviamo le anime di altri giocatori, i carichi che portavano con sé come cose importanti ma che così importanti in fondo non erano. Abbandonati, eternamente immobili. Come gli oggetti sul fondo del fiume di Stalker mentre imperversa l’apocalisse.

Il colore e il bianco e nero

Quando Stalker inizia e finisce, in alcune sequenze che sono ambientate al di fuori della Zona, il film è girato scegliendo colori tra il seppia e il bianco e nero. Quando, invece, i protagonisti si addentrano nella natura selvaggia della Zona, si passa al colore.

Anche Death Stranding fa un uso curioso delle palette cromatiche. La Spiaggia, ad esempio, è incentrata sul grigio e, in una determinata scena in cui Sam praticamente non ha più modo di tornare indietro alla sua vita, intrappolato nella Spiaggia, anche lui perde viene desaturato.

Lo Stalker è in un mondo senza colori quando è fuori dalla Zona, quando non sta realizzando quella che ritiene essere la sua vocazione: aiutare gli altri a realizzare i loro desideri, nella Stanza. Sam è senza colore quando è “disconnesso dalla vita”, se così vogliamo dire, bloccato nella Spiaggia. Il colore che, praticamente, li abbandona entrambi quando sono lontani da quello a cui in realtà ambiscono: la sua missione il primo, la vita e le persone cui ha legato il secondo.

Il viaggio, non la destinazione

Molte persone, affascinate dai temi trattati da Stalker, si sono domandate che cosa sia la Zona, che cosa simboleggi. Queste teorizzazioni hanno scoraggiato Tarvkoskij, incredulo di fronte al fatto che le persone non capissero che la Zona è semplicemente la vita.

Nelle parole del regista sovietico:

«Mi hanno sovente domandato cos’è la Zona, che cosa simboleggia, ed hanno avanzato le interpretazioni più impensabili. Io cado in uno stato di rabbia e di disperazione quando sento domande del genere. La Zona è la Zona, la Zona è la vita: attraversandola l’uomo o si spezza o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero.»

Vi ricorda qualcosa, in merito al fatto che Death Stranding affronti il tema del viaggio, a come lo affronta, all’idea di iniziare il proprio viaggio da una missione che ti “reinserisce” in quella che è stata la tua famiglia e che poi, via via, ti lascia libero di andare, di crescere, di scoprire, di tessere relazioni? Anche in Death Stranding il viaggio di Sam rappresenta, ovviamente, la vita. La vita collegata a chi c’era prima (Clifford) e a chi ci sarà dopo (Lou) di Sam.

L’ultima scena di Death Stranding mostra Sam e Lou. L’ultima scena di Stalker mostra Martyska, la figlia dello stalker.

L’inizio lento

Alcuni giocatori e recensori hanno lamentato il fatto che Death Stranding cominci con ritmi particolarmente lenti. Il gioco ha tante ore di tutorial, in cui si viene introdotti lentamente, un passetto alla volta, alle tematiche, ai personaggi, al nuovo mondo, a come si gioca.

Stalker ha un inizio straordinariamente lento. Così lento, che prima di arrivare alla Zona ci vuole un bel po’ e vediamo semplicemente i tre protagonisti intrattenersi in chiacchiere e cercare di raggiungerla, prima che il loro viaggio verso la Stanza cominci.

In merito alle lamentele sulla lentezza del film, Tarvkovskij dichiarò:

Il film deve essere più lento e compassato, all’inizio, in maniera tale che gli spettatori che sono entrati nella sala sbagliata del cinema abbiano il tempo di andarsene.

Sostituite “film” e “sala del cinema” con gioco ed ecco che, anche in questo caso, stiamo parlando di Death Stranding.

Le analogie sono, insomma, numerose (e potrebbero coinvolgere anche la scelta di affidarsi, spesso a inquadratura di durata generosa, dal lato della regia) e non possono che farmi raccomandare, a chi ama perdersi negli universi – che siano interattivi o meno – tanto Stalker quanto Death Stranding.