Partiamo con una premessa: affinché un videogioco ti deluda, è necessario che tu partissi con aspettative molto alte. Nel raccontarvi quali sono i cinque videogiochi che mi hanno deluso maggiormente, quindi, non sto parlando di prodotti scadenti, né sto parlando di titoli realizzati male: sto parlando di titoli dai quali mi aspettavo molto e che non sono stati in grado di tenere fede alle mie attese.
5. Hitman Absolution
Non ci sono dubbi che Hitman stia assolutamente sul podio dei miei franchise preferiti. Amo le sue meccaniche sandbox, amo la libertà di approccio e di ragionamento concessa al giocatore e, per questo motivo, sono innamorata di Hitman Blood Money: il suo level design rimane tra i più azzeccati e intelligenti della serie IO Interactive, per il modo straordinario in cui alludeva al “trova tu il modo, i mezzi a disposizione di 47” li conosci.
Arrivai con queste aspettative altissime, al cospetto di Absolution. E ne rimasti estremamente delusa. Questo, ovviamente, non mi impedì di sviscerare il gioco e completarlo per analizzarlo approfonditamente. La conclusioni a cui giunsi è che non apprezzo il modo in cui Absolution ha provato a cambiare l’anima di Hitman. Ci sono alcuni livelli che fanno del sandbox il suo stile, ma sono limitati e ce ne sono molti altri più lineari, costrittivi, che ignorano la libertà di approccio per suggerire al giocatore “vai lì senza farti notare”.
Non mi piacque nemmeno l’introduzione della meccanica “Istinto”, che consentiva di rendere irriconoscibili fino al suo esaurimento i propri travestimenti, o di uccidere a catena i nemici con coreografie da film action. La chiave di tutto è che 47 non deve uccidere a casaccio, e anzi quando colpisce i bersagli è bene che sembri un incidente. Provare a fondere a questa natura che spinge al ragionamento le richieste del pubblico appassionato di action, per avvicinarlo al franchise, mi lasciò estremamente insoddisfatta.
Penso se ne rese conto anche IO Interactive e con lei Square Enix, che oggi hanno divorziato: il seguente Hitman, uscito a episodi, era l’incarnazione stessa, all’ennesima potenza, della sua identità sandbox. Scenari più grandi, non lineari, da scoprire e in cui curiosare. Una cosa che ad Absolution è mancata moltissimo, in favore di un approccio cinematografico-narrativo che non aveva comunque forti frecce al suo arco, che era dimenticabile e non capace di reggersi sulle spalle le aspettative dei fan della saga.
4. Beyond: Due Anime
Non sono particolarmente clemente con i giochi di David Cage, nonostante li apprezzi molto. Il fatto che si concentrino pienamente sulla narrativa fa in modo che quest’ultima debba essere coinvolgente, popolata da personaggi memorabili, capace di lasciarti dentro qualcosa. Fahrenheit partiva bene, poi la sua componente sovrannaturale andava fuori controllo in un modo difficile da gestire, rendendo grottesche molte situazioni e anche l’evoluzione dei personaggi. La storia d’amore tra Carla e Lucas, che citai nel mio primo video anche come love story più allucinante mai vista in un videogioco, ne è la prova.
Heavy Rain riproponeva le idee del sistema di gioco del precedente, ma era di tutt’altra pasta. I personaggi, il thriller familiare: i pezzi erano tutti al posto giusto e anche se non sono soddisfatta dal modo in cui si scopriva l’identità dell’assassino dell’origami, di fatto rivelato ingannando il giocatore anziché essendo abili a nascondere gli indizi in vista, è un’opera di grandissimo valore ludico e narrativo. Le emozioni di Heavy Rain erano forti, ricordo ancora personaggi e scambi – e questo significa qualcosa.
Significa anche che arrivai con aspettative molto alte e grandissima curiosità al cospetto di Beyond: Due Anime. La successiva avventura di Quantic Dream, che con un cast stellare raccontava le vicende di Jodie e del suo sovrannaturale alleato Aiden, ha alcune caratteristiche da grande gioco. Ma ha anche un difetto che non ho mai accettato e che, nella riedizione, perfino Quantic Dream sembra aver accettato: ha delle cose interessanti nella fabula, che sono raccontate male nell’intreccio.
Il saltellare da un momento all’altra della vita di Jodie, senza soluzione di continuità, lascia lo spettatore confuso e rende difficile capire cosa è successo prima o dopo cos’altro, con il risultato di avere un quadro d’insieme pasticciato. Oltretutto, la diacronia scelta dallo sceneggiatore non aggiunge valore all’opera: la sensazione, scrissi all’epoca, è quella di assistere al quaderno degli appunti dell’autore, anziché alla versione finale dell’opera.
Ci sono dei colpi di scena di Beyond, che non dirò in questa sede, che ho apprezzato molto. Ma l’esperienza estremamente guidata, con tutto ridotto a una grande importante scelta nei secondi finali del titolo, e il finale aperto che non ha mai condotto da nessuna parte, mi hanno lasciato l’amaro in bocca. Con il potenziale del personaggio tratteggiato sulla grande interpretazione di Elliot Page, per me si poteva e si doveva fare di più. E lo ha dimostrato Cage stesso in Detroit, dove ha fatto decisamente di meglio e di più, regalando un’opera memorabile e che fa riflettere.
3. GTA V
Ho giunto alla conclusione di essere diventata troppo vecchia per la serie GTA, per il cosiddetto giocazzeggio. Credo sia l’unica spiegazione possibile. Ho giocato GTA, GTA II, GTA III, GTA IV, GTA: Vice City, GTA: San Andreas. Ho iniziato GTA V e l’ho abbandonato per strada.
Il gioco era immenso. Ho amato la sua verve polemica e satirica nel modo di esprimersi sulla città americana e sui vizi della nostra civiltà. Non ho amato particolarmente lo switch tra un protagonista e l’altro, questo no. Rendeva il tutto ancora più grande, forse ancora più dispersivo. Finivo con il preferirne uno e rompermi le palle di dover usare gli altri.
Ma, soprattutto, finivo con il cercare di giocare in modo gentile, che è quello che faccio di solito. Il mio Arthur Morgan, in Red Dead Redemption 2, è il più grande fuorilegge gentiluomo che abbiate mai visto. E forse per questo non ho avuto più voglia di giocare a GTA V: non era il gioco che cercavo, non mi divertiva quello che mi chiedeva di fare. E l’ho scoperto quando ci stavo già giocando, era come se mi sentissi vecchia per quel tipo di divertimento.
So che è un discorso che sembra non avere né capo né coda, ma spero si capisca cosa sto cercando di dire: tutti i GTA vecchi mi hanno divertita, ma GTA V no. L’ho ricondotto a due cose: che erano passati molti anni dagli episodi precedenti con cui mi ero divertita; che ho trovato la molteplicità dei protagonisti troppo dispersiva rispetto a quanto avrei voluto.
Non sto dicendo che sia un brutto gioco. Sto dicendo che non mi è entrato nel cuore e che alla fine lo scambiai in negozio con un altro. Penso che questo sia l’essenza stessa dell’essere delusi, perché raramente mi privo di un gioco che possiedo in formato fisico, anche solo per la mia collezione. Con GTA V l’ho fatto.
2. Final Fantasy XV
Forse il problema è stato l’anima. Forse la dispersività. Non so identificarlo con sicurezza, forse potrebbe essere anche nel battle system, nel sistema di grinding, non lo so. So, però, che dopo la curiosità per l’attesa di Final Fantasy XV, da grandissima appassionata della saga, è l’unico episodio principale dei tempi recenti che ho iniziato ma non ho mai finito.
Ci ho giocato tanto. Ho iniziato ad affrontare storia e missioni secondarie, incuriosita dagli eventi. Non ho apprezzato particolarmente i dungeon, secondo me troppo lineari, ma ero incuriosita. Fino a quando, ad un certo punto, ho smesso di giocarci. Di punto in bianco. Non mi interessava più, non volevo più sapere che ne sarebbe stato di Noctis e degli altri. Ho solo smesso di giocarci e non ho più ripreso. E non ho ancora capito perché.
La cosa che mi sembra più logica, è che forse non mi fossi affezionata abbastanza ai personaggi e al mondo di gioco da volerli seguire. Ma mi chiedo perché: è solo per come erano scritti? Non mi è piaciuta l’idea del gruppetto di amici in giro per il mondo? C’erano degli spunti interessanti, soprattutto nei flashback, perché questo gioco mi è scemato addosso? Non riesco ancora a rispondermi. Ma il fatto che non senta il bisogno di riprenderlo in mano, è già di per sé una enorme delusione, per una amante della serie Final Fantasy come me: è come se non mi importasse. E se non mi importa di un Final Fantasy a cui stavo giocando, è perché c’è qualcosa che non mi ha fatto innamorare. Prima o poi capirò specificamente cosa.
1. Metal Gear Solid V
La prima posizione era scontata e ovvia, ma non c’è altro videogioco che mi faccia venire il mal di stomaco, per quello che poteva essere, quanto Metal Gear Solid V. Sono una valanga di cose che ho già detto nella retrospettiva per SpazioGames.
Il gioco è monco. Visibilmente. Passa dall’essere la saga che ti spiega la diarrea di Akiba a quella che si dimentica del Metal Gear nelle mani di Eli. Ma mi ha deluso a prescindere dal suo essere un moncone di un gioco.
Mi ha deluso, ad esempio, il fatto che a livello narrativo Ground Zeroes abbia un’anima che The Phantom Pain si sogna. I personaggi, l’atmosfera, la disperazione, la forza anche dei nastri: Camp Omega fa venire i brividi. Per quanto commercialmente orrida fosse la scelta di vendere Ground Zeroes separatamente, è un prologo accattivante il cui gioco completo, in favore di un capolavoro di vastità proposto, sacrifica quella che per me era la cosa più importante: atmosfere, narrativa e personaggi.
La metafora di Venom Snake, che reitera quanto già detto abbondantemente con Raiden in Metal Gear Solid 2, non mi ha fatto scattare la scintilla. Mi sentivo già Big Boss, non avevo nessun bisogno di essere Venom Snake, l’uomo ucciso da Solid Snake. Skull Face e le sue motivazioni sono una caricatura di Metal Gear. Sostituire le nanomacchine con i parassiti dimostra di ricadere negli stessi template narrativi senza saper reinventare qualcosa di originale. L’idea di infilare nel contesto narrativo il giovane Liquid che incontra il giovane Ocelot che incontra il giovane Mantis che incontra il padre di Otacon dà una sensazione di quanto è piccolo il mondo che non mi è piaciuta. E il punto di partenza, quando Kojima disse di essere disposto a sacrificare la coerenza per il valore della storia del singolo gioco, non mi è piaciuto.
Non è questione di non accettare i colpi di scena. Semplicemente, non apprezzo il modo in cui MGSV abbia rinunciato alla sua identità in favore di meccaniche narrative per me trascurabili. Non è dove si arriva, ma come. Seppure in una condizione di lavoro a quanto pare estremamente indesiderabile, Metal Gear Solid V è un grande gioco, ma è infondo alla lista dei miei grandi Metal Gear. Ha un’anima tutta sua, è il migliore di tutti pad alla mano. Ma quando si tratta di vedere cosa ti è rimasto dentro l’anima dopo averlo vissuto, lì ci trovo solo amarezza. Per quello che gli manca, per come è finita tra Kojima e Konami. E per quello che c’è.