Partiamo da un presupposto che mi sento quasi in colpa a dover specificare: il crunch nell’industria dei videogiochi è una cosa seria. Lo ribadisco perché, quando qualche mese fa ho dedicato alcuni approfondimenti all’argomento, su SpazioGames, ho recepito da alcuni commenti che non è percepito come tale. Un ambiente di lavora che spinge, direttamente o indirettamente, a pratiche che rischiano di minare la salute dell’individuo, non può che essere una cosa seria.
Vorrei approfondire la questione sulle pagine, ovviamente secondo me, come ormai eponimo di questo piccolo blog, in virtù dei dati pubblicati nel report della GDC 2019, che danno un’idea della diffusione del fenomeno e delle motivazioni dietro a questa pratica lavorativa che coinvolge, che ci piaccia o no, il nostro medium preferito.
Che cos’è il crunch
La parola “crunch” è usata per indicare quelle pratiche lavorative non salutari che portano a compromettere la salute di chi vi è sottoposto, fino a portarlo al punto di rottura. Uno sviluppatore che è sottoposto a un periodo di crunch è insomma sotto forte stress, spesso non riesce ad avere del tempo libero ad eccezione della manciata di ore che utilizza per dormire. Questo, generalmente fino a quando non si arriva a una scadenza, che è di solito il motivo del crunch stesso.
Quando, ad esempio, un responsabile dello sviluppo assicura a un publisher (che è chi ci mette i soldi e paga lo stipendio) che un determinato prodotto sarà pronto per il 31 marzo, capita che le ultime settimane prima della cosiddetta “sub”, ossia l’invio della build finale del gioco, si trasformino in un inferno di orari scriteriati e mansioni da svolgere prima del gong.
L’approssimarsi delle scadenze consente un po’ di vedere il crunch all’orizzonte, nei casi in cui i lavori siano indietro rispetto al tempo rimanente prima della prevista consegna. Per rimediare, si ricorre quindi a weekend lavorativi non inizialmente previsti, turni serali o notturni, ore extra non sempre retribuite come stroardinari ma “rosicchiate” da quelle libere dello sviluppatore in questione.
Questa è, se vogliamo, una spiegazione for dummies del crunch, che possa risultare comprensibile ai più senza troppe sofisticazioni. Approfondiamo ora la conoscenza con queste pratiche, con il perché la questione sia recentemente tornata alla ribalta e perché ha senso che se ne parli.
Il caso di Rockstar su Red Dead Redemption 2
A riportare nell’occhio del ciclone queste usanze lavorative è stato, qualche mese fa, Dan Houser, co-scrittore di Red Dead Redemption 2, che innocentemente nel corso di un’intervista aveva parlato di settimane lavorative da oltre 100 ore per i membri del team di sviluppo del colossal firmato Rockstar Games.
Dopo essersi reso conto della portata della gaffe, Houser ha voluto precisare che questi ritmi erano da intendersi per sole tre settimane, volontari e per il solo team dei responsabili della scrittura del gioco (quattro persone), che mossi dalla loro “passione” volevano assicurarsi di fare tutto per il meglio.
Queste le parole di Houser, così come le ho tradotte nel mio articolo su SpazioGames:
Non si parlava dei diversi processi nel team completo in sé. Dopo aver lavorato sul gioco per sette anni, il team senior di scrittori, che consta di quattro persone (Mike Unsworth, Rupert Humphries, Lazlow e io) ha avuto, come sempre accade, tre settimane di intenso lavoro in cui abbiamo dovuto mettere insieme tutto. Tre settimane, non anni. Abbiamo tutti lavorato assieme per almeno dodici anni e abbiamo sentito che c’era il bisogno di fare questo per finire tutto. Dopo tutti questi anni in cui abbiamo realizzato e organizzato le cose per questo progetto, sentivamo la necessità di farlo per finalizzare il tutto.
La sua precisazione ha creato, se possibile, ulteriori polemiche, poiché il problema è a doppio binario: esiste il crunch dato dagli orari imposti ed esiste il crunch dato dagli orari che si aspettano che tu faccia, poiché qualcun altro li fa.
Per maggiori approfondimenti sulle parole di Dan Houser, vi invito a leggere l’articolo completo che firmai per SpazioGames.it, in embed qui sotto nella pagina.
https://www.spaziogames.it/rockstar-crunch-dichiarazioni/
Le parole di Job J. Stauffer
Con la questione così calda, i colleghi del sito Kotaku si misero subito in contatto con alcuni sviluppatori di Rockstar Games, per chiedere loro di testimoniare sulle pratiche di lavoro a cui erano stati sottoposti nel corso dello sviluppo di Red Dead Redemption 2.
Prima ancora di questi, però, ad esporsi fu Job Stauffer, ex Rockstar Games, che senza girarci troppo intorno definì il suo periodo al lavoro su GTA IV come qualcosa di simile all’avere “sempre una pistola puntata alla testa.”
It's been nearly a decade since I parted from Rockstar, but I can assure you that during the GTA IV era, it was like working with a gun to your head 7 days a week. "Be here Saturday & Sunday too, just in case Sam or Dan come in, they want to see everyone working as hard as them." https://t.co/TaQS5LnaAa
— Job Stauffer is pioneering in Immersive Well-being (@jobjstauffer) October 16, 2018
Le parole probabilmente più preoccupanti, nel cinguettio di Stauffer, risiedevano nel fatto che, almeno dieci anni fa, questo gli venisse in qualche modo imposto. Stauffer scrive infatti che gli veniva chiesto anche di lavorare nei weekend, “in caso Sam e Dan [Houser] si presentino, vogliono vedere che tutti lavorano duro tanto quanto lo fanno loro.”
Sottolineiamo una prima cosa: vale la pena far notare che sono passati dieci anni dall’addio di Stauffer, il che ci fa sperare che, come sostenuto da Rockstar, da allora le abitudini di lavoro siano quantomeno migliorate un pochino. La seconda cosa che voglio sottolineare è, invece, l’ennesima prova di un crunch che non è imposta dal contratto firmato, ma dall’ambiente di lavoro in sé: Sam e Dan vogliono vedere che tutti lavorano duro tanto quanto loro. Pertanto, se io, a capo dello sviluppo, posso rinunciare alle mie ore libere per portare a compimento il progetto entro la scadenza, perché tu dovresti sentirti autorizzato a non farlo?
Anche in questo caso, vi raccomando la lettura del mio articolo integrale per SpazioGames.it, dove ho riportato l’intero commento di Stauffer sulla questione.
https://www.spaziogames.it/job-stauffer-crunch-rockstar/
Le testimonianze dei dipendenti Rockstar
Visto che la questione si stava facendo spinosa, con anche la risonanza delle testate internazionali, Rockstar ha deciso di tagliare la testa al toro, autorizzandosi i suoi dipendenti a parlare delle condizioni di lavoro per Red Dead Redemption 2. Ha inoltre chiesto loro di non edulcorare le opinioni, in modo che potessero essere il più trasparenti possibile.
Le opinioni che sono emerse hanno parlato principalmente di un contesto di lavoro migliorato negli ultimi anni. Molti dipendenti hanno parlato di ore extra, che venivano però regolarmente retribuite e che venivano accettate da loro stessi, come straordinari. Qualcuno ha dichiarato di aver raggiunto 79 ore settimanali, qualcuno ha parlato di 50-60 ore circa, altri dicono che alcuni colleghi si sono avvicinati alle 100 ore settimanali. Potete leggere tutte le testimonianze raccolte nel mio articolo, anche in questo caso, su SpazioGames.it.
https://www.spaziogames.it/rockstar-autorizza-i-dipendenti-orari-crunch/
Le testimonianze più succose sono forse quelle arrivate dallo studio QA di Rockstar Lincoln, che si occupa di testare la qualità dei giochi prima che vengano messi in commercio. Si tratta, infatti, di uno di quelli che praticano gli orari più difficili, molto tendenti al crunch.
In questo caso, infatti, è stata la stessa Rockstar a far notare che ci sarebbe stato un malinteso di comunicazione, poiché gli orari extra non erano obbligatori né imposti, mentre invece i dipendenti li percepivano come tali.
Dopo l’esplosione della questione, uno sviluppatore (rimasto anonimo per ovvi motivi, ma la sua identità è stata verificata) ha dichiarato che c’è stato un miglioramento. Dalla mia traduzione per SpazioGames:
Oggi c’è stato un incontro dove ci è stato annunciato che, da qui in avanti, lavorare oltre gli orari sarà completamente opzionale. Se vogliamo lavorare delle ore in più per guadagnare dei soldi extra (e una carriera migliore), allora possiamo farlo, ma non c’è più una regola che ci porti a farlo. È una cosa importante per noi di Lincoln, considerando che molti di noi non avevano la possibilità di prendersi un weekend senza pagarla. È un passo in avanti enorme nel rendere il crunch un po’ meno un inferno con cui avere a che fare.
Secondo questo dipendente, non si trattava affatto di una libera scelta, ma anzi veniva chiesto di lavorare anche in pausa pranzo, che non veniva però retribuita. Come dichiarato da lui:
Questi tempi extra NON sono opzionali, si aspettavano che li facessimo. Se non sei in grado di lavorare oltre l’orario in alcuni giorni, senza che ci sia un buon motivo dietro, allora dovrai rimediare un altro giorno.
Ad affiancarsi a questa testimonianza c’è anche quella di Flik Green, che conferma come la cosa non venisse affatto vista come opzionale, ma Rockstar non incoraggiava a rimanere in ufficio oltre gli orari. Anzi, ogni tanto è capitato che le dicesse di andarsene a casa, nello stesso periodo in cui invece i dipendenti non avvertivano affatto come opzionali le ore extra di lavoro. Capitava che si scegliesse di lavorare di più per avere gli straordinari in busta paga, ma la dipendente dichiara di non aver visto mai nessuno che non abbia superato la soglia degli orari di contratto:
Quando ho cominciato, un anno e mezzo fa, lavoravamo notti da otto ore, con i sabati occasionali, che venivano pagati come orario extra. Come ci avvicinavamo alle scadenza, a volte quei sabati diventavano obbligatori. Si trattava di due sabati al mese, a volte ci veniva anche chiesto di lavorare oltre gli orari durante i feriali. Non abbiamo mai pensato che fosse opzionale. Perché mai non avresti lavorato oltre gli orari quando il tuo era un contratto da sei mesi e continuavi a vedere che i tuoi amici venivano lasciati andar via?
[…] Ci veniva anche detto che, se non volevamo lavorare in questo modo o in caso avessimo bisogno di andarcene prima, allora potevamo parlare con i nostri lead per trovare un accordo, ma devo dire che questi orari extra non venivano avvertiti come una scelta e non mi ricordo di nessuno che non li abbia fatti.
A Lincoln venivamo sempre scoraggiati dal rimanere più a lungo dei nostri orari concordati, rimanere lì fino a tardi non veniva incoraggiato. I turni notturni facevano quelle ore solo da aprile, ma per quanto riguarda quelli giornalieri è andata avanti per un anno, e a quanto ne so io erano obbligatori.
Ora che è passata a Rockstar North, la sviluppatrice parla di un contesto molto diverso, in cui solo una volta le è stato chiesto un extra ed è stata anche ringraziata gentilmente per aver accettato. Sa però di colleghi in altri ruoli che lavorano per oltre 70 ore alla settimana per mesi.
Potete leggere la testimonianza completa nell’articolo, anche questa volta in embed, al link qui sotto.
https://www.spaziogames.it/rockstar-ore-extra-obbligatorie-crunch/
I dati della GDC 2019 sul crunch nell’industria dei videogiochi
Ora che abbiamo ripercorso tutta la vicenda relativa al caso di Rockstar per Red Dead Redemption 2 (ma gli esempi potrebbero abbondare, dalle testimonianze di Amy Hennig sull’addio a Naughty Dog per le notti in ufficio al caso di Team Bondi per L.A. Noire), vale la pena dare un’occhiata ai dati raccolti nell’annuale indagine della Game Developers Conference 2019.
Lo studio, a cui è possibile avere accesso sul sito ufficiale della manifestazione, lasciando un proprio contatto, riporta questi numeri:
- Il 44% degli sviluppatori lavora per oltre 40 ore la settimana (quindi oltre le 8 ore nei feriali)
- Il 24% lavora tra le 36 e le 40 ore per settimana (con quindi un tetto di 8 ore, 5 giorni lavorativi)
- Il 21% lavora tra le 41 e le 45 ore la settimana (quindi oltre le 8 ore nei feriali)
- Il 17% lavora tra le 0 e le 20 ore la settimana
- Il 3% lavora oltre 60 ore la settimana (quindi oltre 12 ore al giorno, per 5 giorni lavorativi)
- Il 5% lavora tra le 51 e le 60 ore la settimana
Questi dati coinvolgono sia membri di sviluppo di grandi software house, sia sviluppatori più piccoli e completamente indipendenti.
La parte però probabilmente più interessante di tutte è la risposta più data quando gli è stato chiesto: perché lavori oltre gli orari concordati dal tuo contratto. La replica più data è stata, infatti, perché (almeno parzialmente) me lo impongo io. Per auto-pressione su me stesso. Il che ci riporta a un punto che abbiamo già ampiamente trattato, ossia alle abitudini di lavoro non sano a cui ci si sente in dovere di adattarsi.
Questa risposta è stata fornita dal 69% degli intervistati. Interessante notare che, tra coloro che si auto-impongono questi extra, oltre metà lavoravano per uno studio di dieci persone o meno, mentre un terzo lavorava per uno studio con oltre trenta dipendenti. La stessa identica proporzione si conferma per un’altra risposta, data dal 59% degli intervistati, che hanno dichiarato non pensavo che quelle ore fossero troppe. Metà indipendenti, un terzo membri di grandi team di sviluppo.
La proporzione si modifica invece con la terza risposta più data, ossia ho lavorato quelle ore perché qualcuno al di sopra di me mi ha reso chiaro che dovevo farlo. Specificata dal 26% degli intervistati, questa risposta è stata data nel 39% dei casi da dipendenti di team con oltre trenta dipendenti, mentre il 42% erano parte di team con al massimo dieci persone.
Nel 26% dei casi, insomma, le ore che portano al crunch sono ancora di imposizione e, sebbene il ventaglio di distacco tra indie e AAA si riduca a soli tre punti percentuali (mentre prima si parlava di oltre metà contro 1/3), sono tanto diffuse tra le piccole software house che tra quelle grandi.
Nel caso degli studi indie, c’è anche un altro dato molto interessante: tenendo conto solo e unicamente delle risposte date dai dipendenti delle piccole compagnie, il 10% ha parlato di pressioni di un dirigente, il 10% ha parlato di pressioni avvertite perché altri dipendenti lavoravano per ore extra. Il fenomeno, insomma (le pressioni imposte dall’alto, quelle imposte dagli standard dello studio), secondo la statistica è simmetrico nel caso dei piccoli studi indipendenti.
L’idea di un sindacato per gli sviluppatori di videogiochi
Se la questione del crunch nell’industria dei videogiochi è così spinosa, è perché non c’è una rappresentazione sindacale per questi lavoratori. Come rivelato anche dal report della GDC 2019, ben il 47% degli sviluppatori pensa che dovrebbero unirsi in un sindacato, ma solo il 21% pensa che ci riusciranno davvero.
Negli ultimi mesi, dopo la questione relativa a Rockstar, ci sono stati indubbiamente dei passi in avanti, ma la strada da fare è ancora tanta e i numeri non mentono, quando sono gli stessi sviluppatori a non pensare che sia davvero possibile farsi rappresentare, per giungere a condizioni di lavoro che non ammettano più quell'”avete interpretato male”, da un sindacato preposto.
Lavoratori delle software house in salute, che lavorano nei giusti termini, consentono ovviamente di avere prodotti migliori. Per quanto si tenda spesso a dimenticarlo – e il caso del crollo di Telltale ne è una deprimente prova – i videogiochi sono realizzati da persone, non da loghi anonimi associati a compagnie. Un dipendente che lavora in modo sano le sue otto (o gli extra che accetta liberamente di fare per un extra in busta paga) produce qualcosa di migliore di chi passa la notte in ufficio per due mesi consecutivi per rispettare il termine distorto calcolato dal suo lead per una consegna.
Come indicato da uno sviluppatore anonimo che ha parlato nel report della GDC, “quando un dirigente può ottenere un bonus da $20 milioni in cambio dell’aver fatto finire in crunch centinaia di persone, perché ha consegnato prima che il gioco fosse pronto e poi può liberamente licenziare quelle stesse persone, allora l’industria ha bisogno di correggersi.“