Metal Gear Solid, il primo, ha il lieto fine. Lo sanno tutti. Un videogioco che parla di guerra, tortura, odio, amore, destini atavici, si concludeva con un lieto fine di grandissima speranza per i protagonisti coinvolti, che erano esattamente coloro che avevano tenuta viva nel cuore la voglia di fare la cosa migliore per i più.
Uno di quei finali che possono far scappare la lacrimuccia di felicità, perché chi ha sperato tanto viene premiato, ma che si confronta con quello che ci dicono gli episodi successivi. L’amara sincerità che Hideo Kojima è andato sempre meno a risparmiarsi, che ci consegna un quadro complessivo dei suoi protagonisti che si lega a doppio binario alla vita reale: non tutto è sotto il tuo controllo. Il trucco è sapersi adattare per proseguire a vivere, non cambiare tutto per plasmarlo a piacimento.
I paragrafi successivi includeranno spoiler da Metal Gear Solid, Metal Gear Solid 2 e Metal Gear Solid 4. Se non avete completato questi viaggi (eretici che non siete altro) vi sconsiglio di proseguire o vi rovinerete un bel po’ di sorprese.
Il finale di Solid Snake
Quello della conclusione di Metal Gear Solid è un Solid Snake così cambiato, così umanizzato, che è David. Basterebbe questo, per riassumere ciò che l’eroe ha appreso nel corso del suo viaggio. Snake si è confrontato con le sue origini, con il suo trauma, con il suo «le altre persone complicano solo la vita, non voglio avere problemi». Riscopre la vita fuori da sé, nel mondo là fuori, a modo suo se ne innamora.
«Penso sia giunto il momento di cercare un nuovo sentiero, un nuovo scopo. […] Fino a oggi sono vissuto solo per me stesso. Sopravvivere è stata l’unica cosa di cui mi sia mai preoccupato. Non lo so, forse è scritto nei miei geni. Credo sia giunto il momento che io viva per qualcun altro. Qualcuno come te. Forse è questo il modo giusto di vivere.»
Diceva così, Solid Snake, rivolgendosi a quella Meryl Silverburgh per la quale aveva cominciato a provare qualcosa, che gli aveva ricordato in tutta la sua umanità che, maledizione, forse sono ancora umano anch’io.
A prescindere dalla relazione sentimentale, che come sappiamo andrà a rotoli già prima di Metal Gear Solid 2 (i fatti del Tanker si svolgono nel 2007, due anni dopo Shadow Moses, e i due si sono già lasciati) quando Snake sparirà nel nulla lasciando Meryl da sola, è interessante notare che il buon Dave mantiene la sua voglia di avere un nuovo scopo nella vita. Dopo i fatti accaduti in Alaska, con Otacon fonda Philantrophy per bloccare il proliferare dei Metal Gear.
Questo è il Solid Snake che abbiamo imparato ad amare in Metal Gear Solid 2. Quello che abbiamo preso ancora di più come modello mentre vestivamo i panni di Raiden, che nel finale di Sons of Liberty ci ricordava di scegliere per se stessi, come aveva fatto lui.
Almeno, fino a Metal Gear Solid 4. Fino a quando, fuori dal suo controllo, David non scopre il suo invecchiamento precoce. Tutte le scelte, le battaglie, si ritrovano con addosso l’inquietante tichettio dei giorni che restano. Sono passati nove anni da Shadow Moses, quando a Snake rimangono pochi mesi da vivere. E non perché sia clonato, come spiega Naomi: sei stato creato così. Sei stato creato come un’arma, hai una data di scadenza e non ci puoi fare niente.
Il finale di Metal Gear Solid, che nella volontà dell’eroe si era inciso come la voglia di riprendere in mano la sua vita, la possibilità insegnata a Raiden di essere chi decidi di essere, «trova qualcosa in cui credere», si scontra frontalmente con il breve tempo concesso alla vita del povero David. A cui nessuno ha mai pensato: la vita breve era per Solid Snake, di cosa ne pensi David chissenefrega.
«Avanti, godiamoci la vita» diceva Dave, lasciandosi alle spalle Shadow Moses. Pronto a combattere, a capire di non essere fatto per darsi all’amore, ma per continuare a difendere ciò in cui crede. Prima di scoprire che non c’è niente contro cui lottare quando la vita si fa beffe di te. Senza mai arrendersi, questo voglio sottolineare, David sceglie fino alla fine, perfino quando smette di fumare. La sua voglia di godersi la vita, però, ha quasi un sapore dolceamaro quando, liberato dal fantasma di Snake, il povero Dave è oramai agli sgoccioli dei suoi giorni sulla Terra.
Ha fatto il possibile per salvare tante vite. Non ha nessun modo di salvare la sua.
Il finale di Otacon
Di pari passo con il finale di Solid Snake, voglio parlare di quello di Hal Emmerich, Otacon. L’ingegnere capo del Metal Gear, nel finale canonico di Metal Gear Solid, comprende se stesso. Decide di essere stufo di rimpiangere il passato, accetta anche di sacrificarsi se dovesse servire a salvare Meryl e Snake – lui, lo stesso che se la faceva sotto davanti al Ninja, perché ha raggiunto una consapevolezza più importante: posso scegliere per me stesso.
Nel finale di Metal Gear Solid, Otacon si libera del peso più grande che porta addosso: se stesso. Il genio dell’ingegneria, che porta in corpo i geni di una dinastia maledetta dalle armi nucleari, capovolge la clessidra per azzerare il tempo e ricominciare da capo, passando dall’altra parte: io le armi nucleari non le faccio, io le fermo.
Hal è quello che riesce a rimanere più luminoso dalla tragedia beffarda che il finale di Metal Gear Solid si rivela essere. In Metal Gear Solid 2, però, quei fantasmi che sperava di aver superato, lo perseguitano. Il trauma di suo padre, sua sorella Emma, la morte di Wolf che ora si abbatte su sua sorella. Il punto debole di Hal viene messo a dura prova e lui, l’uomo che ha deciso del suo destino, deve ricominciare a lottare dall’inizio, anche a fronte di quelle consapevolezze che aveva trovato. Proprio come nella vita vera.
Il trauma si ripete in Metal Gear Solid 4, quando un Hal che evidentemente non ha mai superato alcune delle sue insicurezze casca con tutte le scarpe nell’amore, questa volta per Naomi. Quando la donna muore, la reazione disperata dell’ingegnere è la stessa di sempre. Il dolore è diventato parte di lui, ma non ci convive, non sa cosa farsene.
Come detto, però, Hal è quello che ne esce meglio: più cinico che in passato, quel «sei una Bestia, sei artificiale» detto a Snake ancora risuona, Otacon riesce a compiere due cose straordinarie, che sono dare una vita a Sunny e riuscire a rimanere vicino a Snake. Fino all’ultimo.
Non era forse la vita che aveva immaginato, ma ha portato avanti la sua lotta e i suoi affetti, almeno quelli che gli sono rimasti, fino all’epilogo. Hal è quello ha più equilibrio e viene meno preso a schiaffi beffardi dalla vita, tra i personaggi del finale di Metal Gear Solid.
Il finale di Meryl Silverburgh
Come fa il finale di Meryl Silverburgh, che sopravvive «alle torture e a cose ancora peggiori», a tradursi in una tragedia? C’è una sfumatura che voglio sottolineare.
La prima, quasi banale: l’amore. Meryl ama Snake in modo irrazionale. Senza sapergli dare un nome, prova quel sentimento da quando ascoltava le sue gesta dal colonnello Campbell e lo ama probabilmente ancora in Metal Gear Solid 4, quando si mostra ferita dal suo abbandono, glielo rinfaccia, eppure cerca di mettergli una mano sulla spalla (e viene respinta), si preoccupa per lui. Lo dimostra perfino quando si incazza e lo insulta, cose che non fai con le persone che ti sono indifferenti, affatto. Meryl prova qualcosa per Snake a prescindere da quanti anni lui dimostri – e questa è già una condanna non indifferente, essere innamorata di una persona con cui la vita non ti ha concesso di stare, figurati adesso che ha qualche mese di vita.
«Per gli Aleutiani il caribù è il simbolo della vita. Presto sarà primavera qui.»
«Anche per noi.»
E invece no. Il grande amore che doveva animare le vite di David e Meryl finisce come quelli della vita reale: prima del previsto, mandando nella soffitta cerebrale progetti e viaggi insieme che non si faranno mai più, salutando i “per sempre” con un ferito «un certo eroe leggendario che è sparito di punto in bianco.» La nuova vita insieme di Meryl e Dave non esisterà mai. E tutto il resto del finale di Meryl si accascia insieme a questo.
L’ultima battuta della ragazza, nel copione originale riproposto in The Twin Snake, è «bello, non è così? Essere vivi.» Una frase forte, detta da una ragazzina che era stata data per morta più o meno nelle ultime dodici ore trascorse da Snake e il suo staff a Shadow Moses. Una frase che fa il paio con l’altra che tutti ricordano: «sono stata una stipida, volevo essere un soldato, la guerra è orrenda. Non c’è niente di bello nella guerra.»
Nove anni dopo Shadow Moses, Meryl Silverburgh è un ufficiale dell’esercito per il CID. La ragazzina che ha fatto il soldato per comprendere suo padre che poi suo padre non era, quando ha avuto la possibilità di scegliere cosa fare della sua vita ha deciso di continuare a fare il soldato. In quella guerra che è orrenda.
La dinastia di Meryl non le ha lasciato scelta: con lo “zio” soldato, il padre soldato, raccontava in quel bagno davanti allo specchio, a Snake, di essere diventata un soldato rinunciando a scegliere. Raccontava di non voler più mentire a se stessa, di voler guardare in profondità dentro di sé. «Voglio capire chi sono e cosa posso fare.»
Eppure, rimane un soldato. E non solo: un soldato che crede fermamente in quello che fa. Un soldato che per una parte di Metal Gear Solid 4 rinuncia alla sua umanità appoggiando l’utilizzo del sistema SOP. Silverburgh, uno dei personaggi più umani che si incontrano a Shadow Moses, respinge la sua vulnerabilità e la sua umanità per essere un soldato migliore.
Sa che essendo un soldato può fare la differenza – non è un caso che una donna che ha subito quello che ha subito a Shadow Moses, nove anni dopo lavori per il CID, che ha il compito di punire chi si macchia di tali crimini con addosso una divisa. Come dirà suo padre in Metal Gear Solid 4, «Meryl voleva fare la differenza». E l’unico modo che conosce per farlo, è quello che ha ereditato dalla sua dinastia, che non ha più modo di cambiare: essere un soldato.
Meryl in quei campi di battaglia che l’hanno fatta inorridire a Shadow Moses ci passa la vita. Lo farà ancora dopo il finale di Metal Gear Solid 4? Possibile. Possibile nonostante riveli ad Akiba di aver sempre sognato di avere una famiglia, una dannata e desiderabilissima famiglia normale, con tanto di matrimonio. Ma di questo parleremo in un altro approfondimento.
Il finale di Naomi
La più grande tragedia, intesa come cosa che va storta, in tutto, è quella della dottoressa Naomi Hunter. Tra i sopravvissuti a Shadow Moses, Naomi è l’unica che ha deciso volontariamente di peccare, di giocare con la vita di qualcuno: Naomi è la donna che infettato Solid Snake con FoxDie.
Snake è nato all’interno di una tragedia che non ha scelto, Les Enfantes Terribles. Otacon esce da Shadow Moses provando a mettersi dietro la maledizione di aver creato il Metal Gear REX. Meryl ha sempre sperato di fare la cosa giusta, è evasa dalla sua cella per provare a fermare i terroristi da sola prima ancora di sapere che ci sarebbe stato Snake. Il povero Roy Campbell ha mentito solo a fin di bene. Non c’è niente che possiamo rimproverare alla povera Nastasha o alla cristallina Mei Ling, ma per Naomi non è esattamente così.
Naomi si fa corrodere dalla voglia di vendetta e non fa niente per nasconderlo. La dottoressa Hunter è intrappolata in un destino che a sua volta non ha scelto, non saprà mai che suo “fratello” Frank Jaeger ha ucciso i suoi veri genitori adottandola poi come se fosse sua sorella. Naomi, come diceva Snake, «si è dannata» cercando di vendicare suo fratello, scagliandosi contro quello Snake che glielo rispedì a casa come un povero mutilato. Naomi usa le sue arti per provare a prendersi la vita di qualcun altro.
Poi, alla fine del gioco, c’è quella consapevolezza straziante: Snake le chiede «mi odi ancora?», lei scuote il capo. Naomi si riabilita, Naomi si pente, ma il danno è fatto. Snake è condannato al FoxDie e dovrà tenerselo per sempre. Quel virus letale che, in fin dei conti, gli salva perfino la vita, uccidendo Liquid. Naomi smette di odiare Snake e comincia la sua risalita.
Il suo percorso è la chiave del finale intero: «Snake, che tu sia o no nel programma FoxDie non è importante. Ciò che è importante è che tu abbia scelto la vita. E allora… vivi! Non lo pensi anche tu, Snake? Non ti preoccupare: anche io voglio scegliere la vita. Fino a oggi ho sempre cercato un motivo per vivere, da ora in avanti però vivrò e basta. […] Amandoci l’uno con l’altro, imparando l’uno dall’altro, solo così possiamo cambiare il mondo. Finalmente l’ho capito, il vero significato della vita.»
Naomi ha scoperto il vero significato della vita e, soprattutto, anche io voglio scegliere la vita. La vita la pensa diversamente, perché Naomi ha il cancro. Ha il cancro, ma ancora non lo sa. Una scelta spietata, straziante, così poco cinematografica e così vicina, da parte di Kojima: Naomi fa piani, è pronta a scegliere la vita, a smettere di cercare un motivo per vivere come se ci fosse bisogno di una spinta per alzarsi all’alba. Eppure, nove anni dopo, Naomi è tenuta in vita solo dalle nanomacchine, perché il suo cancro è terminale e sono le nanomacchine a consentire di portare avanti le funzioni vitali che erano oramai compromesse.
Naomi pianifica di scegliere la vita, per rimediare al tempo che ha perso aspettando di vendicarsi, ma la vita non le fa sconti ed è imprevedibile, anche e soprattutto quando è spietata. Sicuramente, lo è con Naomi. Ancora di più, quando quella Naomi che aveva scelto la vita, la vita se la toglie esattamente dove è morto suo fratello.
La storia di Naomi è una delle più tragiche di tutto Metal Gear Solid, perché a prescindere dalla sua volontà lei non si libererà mai. La dottoressa Hunter rimarrà per tutta la sua vita intrappolata dal suo ruolo, dai suoi errori e dalla sua condanna, fino a morirne. Un messaggio toccato proprio nella sua scena di morte, quando ricorderà ad Hal di portare avanti il loro scopo, fare in modo che la scienza non venga usata solo così – come un’arma. Come entrambi sono stati usati. Naomi ci ha provato, ma non ce l’ha fatta. Ha portato avanti tra mille peripezie la sua voglia di fermare Liquid e c’è riuscita, ma postuma.
Allora sì, Naomi ce la fa. Il suo scopo lo raggiunge. Naomi paradossalmente vince la guerra ma perde la battaglia. Il mondo migliore che voleva ci sarà, ma «ci è stata data la vita solo affinché potessimo espiare i nostri peccati.» In quel mondo migliore lei non ci sarà. Forse, dal suo punto di vista, sarà migliore anche per questo.
La sincerità di Metal Gear Solid: non pianificare
Il succo è questo: i piani dei personaggi del finale di Metal Gear Solid saltano in aria, praticamente tutti. Forse, anche per questo questa serie ci è rimasta così nel cuore: perché quasi in un contropiede fulmineo, fa una cosa semplicissima che però in pochi fanno, prendendo le stesse forme della vita reale.
Ecco perché quei personaggi li sentiamo così vicini: perché sono come noi. Non sono perfetti e anche loro, spesso, si dicono e si ripetono che mi va sempre tutto storto. Posso fare tutti i progetti che voglio, ma c’è il rischio che le cose vadano come devono andare.
«Non è questione di cambiare il mondo», diceva Big Boss, «è questione di fare il possibile per lasciarlo così com’è.» E questo sì, i nostri sono stati bravissimi a farlo: prendere il mondo in custodia, perché deve arrivare alle generazioni successive con le stesse possibilità che sono state date a noi. Perché il mondo così com’è è quello che diceva The Boss, un geoide senza barriere. Eccolo lì, il vero piano dei protagonisti di Metal Gear Solid, quelli su cui tutte le loro storie andate male finiscono con il concentrarsi: qualcosa di più grande del singolo. Nella tragedia delle mie scelte andate male, userò me stesso e la mia volontà per assicurare che ci sia ancora un mondo nel quale valga la pena vivere.
Allora benvenga la tragedia. Benvengano i piani andati male. Gli amori finiti, le incombenze imprevedibili, il «sei stato creato per essere così» a cui non puoi sfuggire: i protagonisti di Metal Gear Solid imparano qualcosa da ogni progetto finito in polvere.
Ai protagonisti del finale di Metal Gear Solid finirà con l’andare tutto male. Per questo, in Metal Gear Solid 4 finirà tutto bene.