Da quando ho visto Maid, ne sono sempre più convinta: Netflix se la cava molto meglio quando lavora alle mini-serie, che con le serie vere e proprie. Ancora meglio se ha del materiale ottimo di riferimento.

Lo avevo già notato dopo aver visto Unbelievable: girato bene, scritto bene, recitato bene. Lì dietro c’era una storia vera. Qui dietro c’è il racconto di Stephanie Land, pubblicato come libro con il nome Maid: Hard Work, Low Pay, and a Mother’s Will to Survive.

Ed ecco che, di nuovo, Netflix mi ha dato prova di essere molto più a suo agio nel gestire una mini-serie, perché il racconto non si diluisce. Perché puoi dare una fine di senso compiuto senza infilare cliffhanger in attesa di sapere se avrai o meno il rinnovo per una seconda stagione.

Perché, semplicemente, sono opere fatte e compiute, che hanno un messaggio e una visione chiara. Qualcosa che personalmente non posso dire di altre cose che si seguono via via che arrivano nuove stagioni e che rischiano di deragliare o di diventare qualcosa-altro, quando partono da un materiale originale da cui si discostano con molta decisione.

Maid, invece, ti scorre via rapido nonostante ogni istante pesi una tonnellata. Ha alcune trovate di regia davvero deliziose, anche per mettere in scena i pensieri della protagonista. E conta su una Margaret Qualley (sì, la Mama di Death Stranding) che varrebbe, da sola, il prezzo del biglietto, con la sua interpretazione.

Ve ne parlo nel dettaglio nel video.